Il 28 agosto 1975 Pasolini su ‘Il Mondo’ scriveva: “Dobbiamo processare i gerarchi Dc” – chiedendo inutilmente al partito socialista e al partito comunista italiani di accogliere quell’istanza. In quella Lettera luterana (una delle ultime, prima di essere massacrato in circostanze ancora oggi non chiare) Pasolini scriveva:
(dobbiamo processarli per) “Indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione del denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, connivenza con la mafia, alto tradimento in favore di una nazione straniera, collaborazione con la Cia, uso illegale di enti come il Sid (i servizi segreti dell’epoca, ndr), responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna (almeno in quanto colpevole incapacità di punire gli esecutori), distruzione paesaggistica e urbanistica dell’Italia… Responsabilità della degradazione antropologica degli italiani… Responsabilità della stupidità delittuosa della televisione. Senza un simile processo penale, è inutile sperare che ci sia qualcosa da fare per il nostro Paese”.
E’ cambiato qualcosa da allora? Chi si tiene informato sa che non è cambiato nulla. Sa che quelle righe, scritte 40 anni fa, potrebbero essere state scritte ieri.
Quel processo penale auspicato da Pasolini non fu mai celebrato. Forse, da allora, l’indegnità e il disprezzo per i cittadini si sono aggravati al di là di ogni possibile immaginazione: troppo spesso poteri forti, mafia e politica sembrano aggrovigliarsi in un tutt’uno quasi inestricabile.
A quelle stragi ne seguirono altre, cambiando radicalmente i destini del nostro Paese.
Il discorso sull’alto tradimento in favore di interessi stranieri o sovranazionali ci porterebbe troppo lontano ma, tra “Troika”, logge massoniche deviate, “Illuminati”, gruppo Bilderberg, Goldman Sachs, cartello petrolifero, Big Pharma… Insomma: a causa dei vari potentati economici multinazionali, comunque essi si presentino o si organizzino, l’alto tradimento si è ormai avviato a divenire quasi la regola: oggi addirittura sono questi soggetti sovranazionali a decidere i destini del mondo, sovrapponendosi o talvolta determinando direttamente quelli che dovrebbero essere i legittimi governi nazionali.
Per quanto riguarda la distruzione paesaggistica ed urbanistica dell’Italia, essa è sotto gli occhi di tutti, nonostante la tutela dei beni paesaggistici e culturali sia prescritta dalla nostra Costituzione.
Inoltre Pasolini fu forse il primo grande intellettuale ad accorgersi con così grande lucidità della degradazione antropologica degli italiani e della stupidità delittuosa della televisione (anch’esse frutto, oltre che di un contesto storico, forse di un piano preciso, di una strategia, potremmo aggiungere oggi, con il senno di poi). Ed insisteva sul fatto che tutti questi singoli aspetti della nostra società, che denunciava, andassero in realtà guardati unitariamente, come tante facce di una stessa medaglia.
Personalmente ho sempre trovato perfino ovvia questa impostazione: tutto si tiene. Tutti questi avvenimenti, apparentemente scollegati tra loro, si sono invece alimentati a vicenda, concorrendo a determinare la situazione in cui ci troviamo oggi.
A noi, qui, interessa sottolineare quegli aspetti legati al degrado culturale dell’intera nazione, perseguito come parte di un disegno complessivo che, peraltro, oggi possiamo dirlo, non riguardava solo l’Italia.
Ma, appunto, non ce ne sfugge la portata antropologica. Anzi, oggi possiamo purtroppo fare un passo in più e parlare addirittura di un regresso evoluzionistico, tanto formidabile è stata in questi ultimi quarant’anni la spinta verso la direzione scelta: quella dell’abbrutimento, del quasi ineluttabile (perché sistematico) disegno di distruzione delle capacità intellettuali, creative, perfino cognitive ed emotive della mente e della personalità.
“Ciao Darwin” potremmo dire ricordando il titolo di un recente, noto programma televisivo Mediaset (che, comunque, non aveva quel titolo a caso).
Infatti a che cosa mai servirebbe studiare, coltivare l’intelletto, il senso del bello, la più raffinata educazione, il merito, perfino la correttezza e l’onestà o semplicemente la lealtà nei rapporti umani e di lavoro, quando si è invece preferito imboccare con estrema determinazione un’altra strada, quella che vorrebbe mostrare a tutti che le carriere si fanno a letto, il lavoro si ottiene con le bustarelle, le raccomandazioni, il nepotismo? Quando stimoli formidabili ti insegnano, sin da piccolo, ad abbassare la testa, a rassegnarti alla disonestà, a credere che i diritti di cui (se sei stato fortunato) ti hanno parlato a scuola, siano solo una bella favola da raccontare agli ingenui? Che se vorrai far valere il tuo corso di studi o semplicemente il tuo talento – se non appartieni al “giro giusto” – ti dovrai rifugiare all’estero? Quando ti guardi intorno e vedi tanti tuoi amici plurilaureati restare disoccupati o magari occupati precariamente presso un “call center”?
L’imbecillità, la volgarità, l’ignoranza, la disonestà vengono troppo spesso premiati. Accendi la televisione e vedi che gli “autorevoli” commentatori invitati dappertutto, ogni sera, sono sempre gli stessi, e i peggiori tra loro non mancano quasi mai. Vedi gente indegna trattata con tutti gli onori, pagata profumatamente, spesso resa insulsamente celebre dal mezzo televisivo. Ti guardi intorno e ti accorgi che dovresti inchinarti a gentaglia in mercedes, vedi mascalzoni reclamare a gran voce la propria legittimità e mentire spudoratamente, mentre, ovviamente, pretenderebbero pure di essere riveriti. Talvolta più sono cialtroni, disonesti e volgari e più arrivano in alto nella scala sociale.
Ciao Darwin. O meglio addio. La selezione della specie all’incontrario.
E intanto intorno tutto crolla: Pompei, Cinecittà, la scuola, le biblioteche, il teatro… Ma anche i diritti costituzionali e lo stesso diritto alla dignità dell’uomo.
Dicevamo: sono tutte facce di una stessa medaglia. Questa è un’ osservazione da tenere costantemente presente. Leggi vergognose, malaffare, informazione da Repubblica delle Banane: tutto concorre a riportarci indietro, a volte addirittura verso il medioevo, alla faccia delle conquiste civili e sociali ottenute spesso col sangue dai nostri padri in secoli di faticosissimo progresso. Per non parlare dell’esodo biblico a cui stiamo assistendo o degli sgozzamenti di innocenti che sono prepotentemente tornati di attualità, chissà da chi orchestrati e manovrati, per difendere chissà quali interessi geo-politici ed economici…
Comunque non è un caso che quei sinistri figuri si accaniscano anche contro l’Arte e la Cultura.
In questo desolante quadro generale, chi mai oserebbe più difendere semplici, basilari diritti come quello alla creatività, sia essa artistica o nei rapporti interpersonali? Chi si sognerebbe di pretendere il rispetto di elementari diritti come quelli legati agli aspetti ludici della vita, all’immaginazione e alla fantasia, il rispetto per la sacralità della creazione artistica, o, perfino, di quell’altrettanto sacra sfera che coinvolge la propria intimità ed emotività? In una parola il rispetto di tutto ciò che, di più fragile e delicato, costituisce la base stessa della nostra più significativa, profonda, intima (e luminosa) umanità?
Tra spread, disoccupazione e crisi economica, derive autoritarie, sgozzamenti e atti terroristici, chi osa più protestare, ad esempio, perché i film trasmessi in tv vengono interrotti dalla pubblicità, infrangendo così la sacralità di un intimo flusso di pensieri, di emozioni, nonché l’integrità stessa dell’opera d’arte (indispensabile per la sua piena comprensione e per il suo pieno godimento)?
Nessuno se lo ricorda più ma all’inizio molti intellettuali si ribellarono con indignazione, i maggiori cineasti per primi. Organizzarono convegni di protesta, promossero addirittura un referendum contro le interruzioni pubblicitarie il cui slogan era: “Non si interrompe un’emozione”. Fellini la definiva: “Un’ azione infame, criminale. L’ opera d’ arte è una creatura vivente”. In seguito dichiarò: “Non ci sono le condizioni per trattare, noi non possiamo trattare con questi banditi…”.
Il diritto alla fantasia, alla creatività, alla delicata integrità emotiva, alla propria intimità inviolabile; una cittadinanza autenticamente libera, istruita e consapevole; cose che poi sono, secondo noi, il corrispettivo della sacralità dell’Arte e della Cultura, sono acerrime nemiche del sistema, del consumismo, del pensiero unico dominante che ci vorrebbero tutti uniformati e irreggimentati: un esercito di produttori / consumatori. Non certo di donne e di uomini liberi.
Ecco perché Fellini stesso fece, da quel momento, fatica a lavorare. A molti dei maggiori intellettuali ed artisti dell’epoca non fu quasi mai più offerta l’occasione di lavorare, di godere degli spazi che meritavano.
Ai giovani ricordo che stiamo parlando di giganti della cultura, di gente che portò, per esempio, il cinema italiano ad essere, per qualità e per prestigio, il primo nel mondo. Tanto perché si possano fare un’idea dell’estrema gravità di ciò che successe.
Oltre a Fellini vorrei ricordare, tra gli altri, con reverenza, Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, Michelangelo Antonioni, Luchino Visconti, Pietro Germi, Mario Monicelli.
Si chiuse la loro stagione e cominciò quella del cinema dei “Pierino” (il cosiddetto “pecoreccio all’italiana”) e di “Paperissima sprint”. Davvero una mutazione antropologica.
Carlo Lizzani, qualche anno prima di togliersi la vita, mi confidò che alcuni produttori cinematografici a cui aveva proposto dei suoi progetti, ultimamente gli rispondevano: “Il soggetto è interessante, ma per realizzare questo film a che serve un regista?”. Come se la Scala di Milano dicesse alle orchestre, d’ora in poi, di dirigersi da sole perché, voilà, il direttore d’orchestra non serve più.
Questo l’abisso di ignoranza in cui siamo sprofondati e che Pasolini già 40 anni fa denunciava con grandissima lucidità.
Mio padre stesso, che con Pasolini aveva collaborato (e con tanti altri personaggi ormai entrati nel mito, come ad esempio Enrico Vaime, Umberto Eco, Primo Levi, Luciano Bianciardi, Carmelo Bene, per citarne solo alcuni) e che fu il fondatore del Teatro Cabaret italiano, seppur ampiamente riconosciuto in vita e celebrato da tutta la stampa nazionale, fu presto dimenticato dopo la sua scomparsa (1984) proprio per via della barbarie in cui stavamo precipitando.
Eppure fu solo grazie all’opera di Franco Nebbia che oggi l’Italia è affollata di festival di Cabaret (il più importante dei quali, quello di Milano, fortunatamente intitolato al suo nome e alla sua memoria). E’ solo grazie a lui che oggi, nelle scuole di teatro, accanto ai corsi di drammaturgia, di recitazione, di dizione, di mimo e, magari, di Commedia dell’Arte, si affianca spesso un corso di Teatro Cabaret. E’ solo grazie a lui che oggi non vi è emittente televisiva che non proponga uno o più spettacoli ispirati al Cabaret.
Ma, tranne rarissime eccezioni, hanno ormai ridotto il nobilissimo Teatro Cabaret delle origini ad avanspettacolo, a Vaudeville, se non addirittura, nei casi peggiori, a Circo Equestre. Popolato, giustamente, da clown e da buffoni. Come se il Cabaret letterario di mio padre, scevro da ogni volgarità, ispirato alla satira politica graffiante, alla sottile ironia, alle colte invenzioni linguistiche e al raffinato non-sense, non fosse mai esistito. E con esso anche tutte le straordinarie innovazioni culturali del ‘900 di cui il Teatro Cabaret di Franco Nebbia aveva raccolto l’eredità e la sfida.
Ecco un motivo in più per dare il nostro contributo affinché l’Arte e la Cultura (nonché l’istruzione, la creatività, la ricerca) ritrovino la centralità che sarebbe loro dovuta.
Non ci basta che il David di Michelangelo venga “riesumato” e, artificiosamente, posto al centro del padiglione Italia dell’Expo o che la grande azienda di moda Fendi sponsorizzi il restauro della Fontana di Trevi. Piccolissimi passi di fronte all’enorme potenziale, anche economico, del nostro inestimabile patrimonio artistico e culturale.
A parte il nostro speranzoso tentativo di valorizzare queste inestimabili risorse economiche (incomprese ed umiliate dall’ignoranza e dalle scellerate scelte politiche di chi ci governa), per noi contribuire a riscoprire e a promuovere tutto il formidabile potenziale della nostra creatività, la ricchezza del nostro ingegno, del nostro linguaggio (di ogni linguaggio artistico) il nostro diritto primario all’incanto, all’emozione, all’insegnamento, alla magia e alla sacralità dell’Arte e della Cultura (come premessa alla sacralità della dignità dell’uomo e della vita stessa) nel contesto attuale, è di per se un gesto rivoluzionario. Oppure, semplicemente, un atto dovuto di civiltà.
Antonello Nebbia
Aggiornamento:
innanzitutto vorremmo ringraziarvi: nei primi mesi di nostra presenza effettiva sul web abbiamo avuto un piccolo boom di visite, raggiungendo, a fine aprile, oltre 2.100 visite in un solo giorno, da 176 paesi del mondo, in occasione del nostro ultimo aggiornamento. Nella classifica di Net Parade, appena iscritti, ci siamo piazzati al 37° posto su circa 3.000 siti italiani censiti nella sezione cultura e abbiamo raggiunto anche il 20° posto. Ci sembra una buona partenza.
(A proposito: potete votarci o condividere i nostri articoli cliccando sui link in fondo alla pagina).
Tuttavia alcuni utenti ci hanno contattato dicendoci che non è chiaro di che cosa ci occupiamo. Cerchiamo allora di spiegarlo meglio.
La High Definition Lab è innanzitutto una produzione multimediale. Cosa vuol dire produzione multimediale? Vuol dire che produciamo diversi tipi di contenuti, attraverso diversi media: video, audio, foto o anche “semplici” contenuti testuali.
Letteralmente “High Definition Lab” significa “laboratorio dell’alta definizione”. Siamo quindi un laboratorio, cioè un luogo dove si fa ricerca, si sperimenta (quindi con uno spiccato carattere di continuo “work in progress”). Cosa ricerchiamo? L’alta definizione, intesa non solo in senso stretto, cioè come alta definizione video (che comunque ci interessa molto) ma anche in senso lato, cioè come ricerca della maggior qualità e “definizione” possibile di tutti i contenuti che intendiamo proporvi.
Come abbiamo cercato di spiegare sin dal primo testo che incontrate entrando nel sito, la nostra “mission” (scopo, obiettivo) è quella di promuovere l’Arte e la Cultura. Il meglio dell’Arte e della Cultura.
Essendo un laboratorio di produzione multimediale, lo faremo sia proponendovi il frutto della nostra ricerca produttiva (cioè tutti quei contenuti prodotti direttamente da noi) sia una selezione di quelli che riteniamo essere alcuni tra i migliori contenuti artistici e culturali attualmente reperibili sul web.
Inoltre useremo il nostro spazio per presentarvi dei selezionati artisti emergenti, ancora parzialmente o del tutto sconosciuti al grande pubblico.
Speriamo in questo modo di essere riusciti a spiegare meglio che cos’è e di cosa si occupa la High Definition Lab.
Di nuovo un ringraziamento e un caloroso benvenuto a tutti nel nostro sito. Buona navigazione!
(La foto di apertura è di Antoine Reboul e ritrae un’opera in cui il pittore Eros Renzetti riproduce un fotogramma del “Decameron” di Pasolini)
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13 comments to “Introduzione al sito”
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