Franco Nebbia: rassegna stampa e cenni biografici

Franco Nebbia, il padre del Teatro Cabaret italiano

Franco Nebbia (Roma 1927 – Trieste 1984) da molti è ricordato come conduttore del programma radiofonico “Il gambero” (1969 -´75) o come giornalista o come autore del “Vademecum tango”, prima canzone che giocava sul latino per creare un effetto di stravagante comicità, che fu sigla del più importante programma del palinsesto RAI del 1961 e cioè del programma del sabato sera abbinato alla lotteria di capodanno “L´amico del Giaguaro” che ebbe come presentatori in quella edizione Gino Bramieri, Raffaele Pisu e Marisa Del Frate.
Ma la sua attività fu in realtà molto più significativa poiché, oltre ad essere stato per molti anni uno dei più importanti autori della RAI; oltre ad essere stato uno stimatissimo ed affermato critico cinematografico; oltre ad aver scritto musiche teatrali di rilievo (per esempio per il “Teatro dei Gobbi”) e canzoni per Rascel, Modugno, Milva, gemelle Kessler, Laura Betti, Bruno Martino, Miranda Martino e tanti altri, Franco Nebbia fu il padre del Teatro Cabaret italiano.

Infatti, quando nel settembre del 1964 aprì a Milano il “Nebbia club”, ancora la definizione di Teatro Cabaret in Italia non esisteva. Il “Nebbia club” nacque appunto (e così fu registrato negli atti burocratici) come primo Teatro Cabaret italiano. Negli anni successivi la critica riconobbe unanimemente al suo fondatore il ruolo vuoi di “pioniere” o di “capostipite” o caposcuola vuoi, ancor più schiettamente, quello, appunto, di padre e iniziatore di questa nuova forma teatrale, il Teatro Cabaret, e lo fece con migliaia di recensioni ed articoli a lui dedicati.

Con i suoi “atti unici satirici”, con le sue “commedie patafisiche” e più in generale con il suo modo di fare teatro, con lo stile surreale dei monologhi, con le invenzioni linguistiche, con la sottile satira politica etc. Nebbia fece scuola nel senso più stretto del termine, dando avvio ad una stagione nuova per il linguaggio teatrale che ancora si esprime con estremo vigore (non c´è ormai emittente televisiva che non dia spazio ad uno o più spettacoli di “Cabaret”).
Ma la quasi totalità di queste riproposizioni, seppure diverse tra loro e variamente articolate, adotta appunto in maniera piena e rigorosa il linguaggio, i tempi, le modalità recitative e di scrittura, gli stilemi, la vena satirica e grottesca, nei casi migliori anche il gusto del nonsense e dell´assurdo, così come vennero stabiliti e codificati ormai oltre 50 anni fa nel Teatro di Franco Nebbia.

Anche lo stile delle cosiddette “canzoni brevi” fu una sua invenzione assoluta, peraltro di grande successo, in seguito ripresa da altri.
Ma era nella natura di Nebbia la predisposizione ad anticipare i tempi: l´idea e il testo della sua “Borsa cha cha cha” furono ripresi da Lucio Dalla, la stessa idea del “Vademecum tango” fu ripresa diversi anni dopo, tra gli altri, da Lino Banfi e dalla Banda Osiris, così come alcune sue idee teatrali che ritroviamo poi riproposte nel cinema di Fellini (la sfilata dei costumi ecclesiastici) solo per fare qualche esempio.

Nell´immediato dopoguerra fu il co-fondatore, della mitica “Roman New Orleans jazz band”. Quando Louis Armstrong passava da Roma la jam session con la jazz band di Nebbia non poteva mancare. Anzi, fu proprio Armstrong a suggerire il nome della jazz band.

Il Teatro Cabaret italiano, nella formula appena descritta, che resta poi la sua “formula pura”, raccolse le importanti sfide della cultura contemporanea occidentale del dopoguerra, da Brecht a Grotowsky, da Miller agli “arrabbiati” inglesi, dalle “caves” esistenzialiste francesi a Boris Vian, da Artaud a Beckett a Jonesco, ma rispose a quelle sfide in modo del tutto originale, indicando al teatro moderno una via tutta italiana, ricco com´era della eredità di Petrolini, del teatro dei Gobbi e delle invenzioni di Achille Campanile, dei primi testi teatrali “impegnati” di Dario Fo; espressione e frutto com´era della collaborazione di molti degli intellettuali destinati a divenire in seguito firme importantissime, a cominciare da Umberto Eco che mise in scena la sue prime (e forse uniche) riduzioni teatrali (da “l´Altro Empireo” e “Frammenti”, tratti dal suo “Diario Minimo”) proprio al Nebbia club e fu anche autore dei testi di alcune canzoni satiriche scritte, appunto, insieme a Nebbia.

Molti testi scrisse in quegli anni Enrico Vaime (principale coautore del primo Cabaret italiano) così come scrissero per il “Nebbia club” anche Giorgio Gaber, Luciano Bianciardi, Bruno Munari, Maurizio Costanzo, Silvano Ambrogi, Giuseppe Ambrosino, Umberto Simonetta, Giacomo Battiato, Mario De Luigi, Roberto Mazzucco, Giorgio Bandini, Sandro Bajini, Roberto Danè e tanti altri ancora.

Pier Paolo Pasolini, Gian Maria Volonté, Carmelo Bene, Primo Levi, Gino Negri, Marcello Marchesi, Pino Caruso, Walter Valdi, Massimo Castri, Duilio Del Prete, Liù Bosisio, Rodolfo Traversa, Mirella Falco, Sandro Massimini, Lino Robi, Liliana Zoboli, Lino Toffolo, Maurizio Micheli, Nanni Svampa, Lino Patruno, Roberto Brivio, Maria Monti, Piera Degli Esposti, Gianfranco Funari, Mariangela Melato, Gigi Pistilli per citarne solo alcuni, e tanti, tantissimi altri attori, autori, intellettuali, collaborarono a vario titolo col “Nebbia club”, in più di un caso inaugurando proprio in quella occasione la propria carriera professionale. Al primo Nebbia club fu messa in scena anche “Cantando e ridendo che male ti fo” di Dario Fo per la regia di Arturo Corso.

Lo stesso celeberrimo “Derby club” era tutt´altro che un Teatro Cabaret negli anni precedenti alla “nouvelle vague” imposta dal successo del “Nebbia club”.
Prima di allora il “Derby” era ben lontano dal linguaggio del Teatro Cabaret così come fondato e codificato nei mesi e negli anni immediatamente successivi ad opera del “Nebbia club”.
Al Derby club in un primo tempo era possibile assistere alle intrigantissime interpretazioni delle “canzoni della mala” della Vanoni, a pregevoli esecuzioni di altre canzoni dialettali, ad azioni mimiche di buon livello nonché alla messa in scena di monologhi per lo più basati su di una comicità di battuta, spesso anch´essi dialettali. L´atmosfera poteva vagamente ricordare quella delle “caves” francesi, ma l´intenzione del Derby era ancora quella di un locale notturno o di un “night club”, come si diceva allora, per quanto già tra i più interessanti del panorama milanese.

Una prima svolta nella direzione della forma “Cabaret” avvenne con la comparsa al Derby di Franco Nebbia e di Enzo Jannacci, antesignani di coloro che, nei mesi e negli anni, andarono poi a comporre una lunghissima teoria di “cabarettisti”.

Mentre si esibiva ancora al Derby club, nel settembre del 1964, forte della collaborazione del Cenacolo che nel frattempo aveva raccolto intorno a sé, Nebbia pensò bene di aprire un proprio teatro, Il “Nebbia club”, il quale imboccò sin dall´inizio una strada completamente diversa rispetto al Derby, innanzitutto avvalendosi di una compagnia stabile di attori, poi recitando “in lingua” e infine orientandosi con decisione verso una scrittura dei testi che andava dal surreale al nonsense alla satira politica, una scrittura che fece scuola e che codificò man mano, come ripetiamo, le regole linguistiche, i codici, i tempi teatrali, la scelta degli argomenti, insomma le modalità di scrittura che divennero poi quelle universalmente riconosciute come proprie e caratteristiche del “Cabaret”, così come viene inteso ancor oggi. La maggior parte dei testi migliori inscenati per esempio in programmi tv come “Mai dire cabaret” o “Avanzi” e tantissimi altri (ad esempio i migliori testi dei fuoriclasse Corrado e Sabina Guzzanti) rispettano, oseremmo dire rigorosamente, quei codici, quelle modalità, quelle scelte di testo propri del “Cabaret formula pura” di Franco Nebbia, anche se, ormai, i meno colti tra gli autori non sempre ne sono del tutto consapevoli.

(Purtroppo  va ormai anche registrata una profonda degenerazione e banalizzazione di quello che fu il “Cabaret formula pura”. Oggi molti spettacoli di Cabaret televisivo, salvo alcune rarissime e pregevoli eccezioni, assomigliano più al vaudeville, oppure segnano una regressione ad una qualche forma di avanspettacolo, quando non si riducano addirittura ad una messa in scena più vicina alle modalità del circo equestre che non a quella del teatro).

Nel “Dizionario dello spettacolo del ´900” edito da Baldini & Castoldi si legge: (Il Derby nasce a Milano…) “grazie al ristoratore Bongiovanni e al jazzista Intra, cui si affianca subito Franco Nebbia, straordinario pianista-entertainer: un “classico” il suo tango con versi di corrive citazioni latine, da “alea iacta est” a “mutatis mutandis”. Con Intra e Nebbia, un primo manipolo di talenti: il musicista Gino Negri e le attrici Liliana Zoboli e Velia Mantegazza, la giovane “cantante della mala” Ornella Vanoni e Enzo Jannacci. Nel settembre 1964 si trasloca e si apre il Nebbia club, con una compagnia “stabile” composta da Duilio Del Prete, Liù Bosisio, Sandro Massimini e Lino Robi attore comico dalla statura ridotta. Ospiti del Nebbia club, che chiuse nel ´68 e che aveva privilegiato un taglio più politico ed esclusivo rispetto al Derby, furono Carmelo Bene, Maria Monti, Piera Degli Esposti, Giorgio Gaber, Mariangela Melato”.

E´ vero: il secondo Teatro Cabaret, quello in via Canonica 38, sempre a Milano, chiuse nel ´68 per la demolizione del vecchio stabile che lo ospitava. Tuttavia Franco Nebbia continuò a portare i suoi spettacoli in tournée per l´Italia sotto il titolo, appunto, di “Cabaret formula pura”, fino alla sua prematura scomparsa, avvenuta nel 1984.

Negli stessi anni (´69-´84) come già ricordato, Nebbia si dedicò alla produzione radiofonica giornalistica e di intrattenimento per la RAI, alla critica cinematografica per importanti testate quali “Sipario” ed “Europeo” ma anche per il più popolare “Intrepido” e numerose furono le sue collaborazioni per giornali e riviste di ogni tipo; fu spesso in televisione con ruoli diversi e ricoprì svariati ruoli anche come attore di cinema. Un suo disco, “L´agente dell´FBI” fu splendidamente arrangiato da Ennio Morricone.

Dal ’69 al ’75 raggiunse una certa popolarità grazie al radiofonico quiz alla rovescia “Il Gambero” alla cui conduzione venne chiamato dalla Rai in sostituzione di Enzo Tortora. Per Nebbia fu come abdicare all’impegno politico e culturale che lo aveva contraddistinto fino ad allora. Gli parve però anche il coronamento di quel sogno che lo aveva portato, quindici anni prima, a piazzarsi al quarto posto in un concorso per “annunciatori” della Rai. Essendo stata la vicenda del proprio Teatro Cabaret (appena conclusasi per via della demolizione del vecchio stabile che lo ospitava) terribilmente faticosa, si trovò di fronte ad una scelta drammatica: ricominciare da zero con la ricerca di un nuovo spazio teatrale, non più giovanissimo, con tutti i rischi, i costi, l’enorme fatica che “sfidare il mondo” di nuovo gli avrebbe comportato oppure raccogliere subito quel frutto del successo del suo lavoro,  quell’opportunità probabilmente irripetibile che la Rai gli stava offrendo e che gli avebbe permesso di accedere rapidamente ad una maggiore notorietà su scala nazionale. Occorre tener presente che, in quegli anni, non vi era altra tv né radio che non fosse quella fruibile dai (pochissimi) canali della Rai. In altri termini la domenica a pranzo vi erano quattro milioni di italiani sintonizzati sul “quiz alla rovescia”.

Nebbia decise così di scendere da cavallo, provato com’era dalle aspre battaglie che aveva fino ad allora sostenuto e che avevano già inciso nel suo cuore stanco il segno di una prematura scomparsa. Condusse quindi il “Gambero” per sei anni, innalzando subitaneamente il già elevatissimo indice di gradimento che era stato di Tortora.

La popolarità gli permise di triplicare il cachet per le proprie “serate” di spettacolo, grazie anche ad un agente teatrale di primo livello com’era Marangoni. Dopo anni di successo di pubblico e di critica e avendo ormai il pubblico italiano via via iniziato a comprendere e ad apprezzare la novità e la raffinatezza di quella forma di spettacolo, il Cabaret, che Nebbia aveva reinventato, sintetizzando l’eredità culturale europea ma arricchendola di importanti retaggi culturali, linguistici e teatrali squisitamente italiani; raccogliendo i frutti di una lunga semina anche nel campo della musica, del giornalismo e della critica cinematografica, Nebbia potè diventare, e rimase fino alla fine, uno dei più stimati autori e conduttori della Rai, soprattutto (ma non solo) in campo radiofonico.

Ma non fu solo questo il frutto del suo instancabile lavoro e della raggiunta notorietà. Negli ultimi quindici anni della sua carriera Franco Nebbia si divise tra la gestione artistica di interi pomeriggi di palinsesti radiofonici della Rai; serate teatrali in tutta Italia, ormai divenute di gala, in cui i sindaci di alcune città (come Torino e Bologna) intervenivano per consegnargli simbolicamente le “chiavi della città”; lunghi soggiorni a Cannes, Venezia, Taormina, in occasione dei Festival del Cinema;  apparizioni televisive in diversi sceneggiati con ruoli di rilievo, oppure “ospitate tv” (in Rai) in cui gli si offriva la possibilità di portare alcuni minuti del suo Cabaret anche in televisione; conduzione radiofonica e televisiva (anche, sporadicamente, di importanti programmi tv del sabato sera); oltre un migliaio di interviste da lui raccolte per la Rai e per la stampa, negli stessi studi della Rai o nelle più disparate locations, di personaggi soprattutto del mondo dello spettacolo e infine partecipazioni in una decina di film con ruoli, anche in questo caso, di un certo rilievo.

Insignito di numerosi premi, tra i quali non poteva mancare quello di Forte dei Marmi per la satira politica, di Franco Nebbia sono saltuariamente riproposte dalla RAI alcune apparizioni televisive e negli ultimi decenni è stato ricordato in qualche puntata di RAI educational. Sue opere radiofoniche sono state copiosamente replicate fino a oltre dieci anni dopo la sua scomparsa. In quella occasione fu affettuosamente ricordato da tutta la stampa italiana e da tutti i telegiornali. Il tg3 gli dedicò un servizio.

Per qualche anno, dopo la scomparsa di Franco Nebbia (30 ottobre 1984) il Teatro Cabaret sembrò destinato a scomparire con lui. Questa sensazione di oblio parve per un momento tanto definitiva che Enrico Vaime portò in teatro uno spettacolo intitolato “Addio Cabaret” (Roma, Teatro Flaiano, stagione 1985-86 diretta da Maurizio Scaparro). Certo, in quel momento, Vaime non poteva immaginare che quella nuova forma di teatro, che lui stesso aveva contribuito a fondare, sarebbe entrata di diritto nella storia del teatro, tra la tragedia e la commedia, accanto al teatro comico e alla commedia dell´arte.

Oggi il più importante festival di Cabaret italiano, quello che si tiene annualmente al teatro Manzoni di Milano, è dedicato alla memoria di mio padre con il titolo di “Premio Nebbia”.

Rassegna stampa

Siamo felici di poter finalmente pubblicare questi ritagli stampa. E’ un dovere che la mia famiglia assolve con decenni di ritardo. Si tratta solo di una frazione delle migliaia di articoli che tutta la stampa nazionale dedicò a mio padre nel corso della sua lunga carriera artistica, ma dovrebbe bastare per mettere una pietra tombale sulla lunga querelle riguardante la circostanza che Franco Nebbia fosse o meno ampiamente riconosciuto, sin dall’inizio, come il padre fondatore di quella nuova forma teatrale ancora oggi universalmente nota come Teatro Cabaret. A dire il vero mai nessuno si è apertamente permesso di dire il contrario (e non avrebbe potuto farlo) ma, forse proprio per la relativa mancanza di documenti storici, questa verità è stata spesso accolta con scetticismo oppure, semplicemente, ignorata.

Vi sono purtroppo anche stati alcuni personaggi che hanno approfittato di questa lacuna e stanno tuttora godendo abusivamente dei frutti del lavoro di mio padre, riuscendo ad accreditarsi (o forse sarebbe meglio dire millantandosi) come gli inventori delle “canzoni brevi”, oppure di un certo uso surreale del latino per comporre il testo di una canzone, o addirittura riuscendo a farsi acclamare come geniali inventori di intere stagioni di programmi televisivi basati sul Cabaret, cavalcando così l’enorme successo di questa innovativa forma di teatro che fu invece fondata, codificata e divulgata da Franco Nebbia con largo anticipo su tutti, primo tra i grandi maestri.

Insomma la strada fu aperta da un autentico, geniale (lui si) e coraggioso pioniere che presto riuscì a circondarsi di alcuni tra i più straordinari intellettuali dell’epoca. Fu Franco Nebbia a doversi inventare le strategie imprenditoriali necessarie ad assicurare la sopravvivenza di un’impresa economicamente rischiosa come quella di un teatro interamente autogestito (che, oltretutto, proponeva una formula teatrale mai vista prima in Italia) riuscendo a pagare regolarmente tutto il personale necessario e una compagnia stabile di attori. Fu lui a dover affrontare le più disparate (oggi impensabili) forme di censura e le autorità che cercavano ogni pretesto per far chiudere il locale.

Quando per primo (tanto per cambiare) mise in scena alcune opere di Umberto Eco, uno spettatore sporse denuncia in questura sostenendo che al Nebbia club si tenessero delle “messe nere”. Questo dà la misura di quale potesse essere il livello di comprensione del pubblico nei confronti del nascente Teatro Cabaret.

Fu Franco Nebbia a dover affrontare squadre di fascisti che piombavano nel locale con l’intenzione di sfasciare tutto. Fu sempre lui a diffondere il suo “Cabaret formula pura” portandolo in tournée per tutta la penisola e avvicinando così gradualmente il pubblico a questo linguaggio teatrale innovativo. Qualche volta riscuoteva un immediato successo e qualche volta raccontava, al suo ritorno, di essersi dovuto esibire davanti a un pubblico attonito, ancora incapace di cogliere le sfumature e le innovazioni linguistiche o i riferimenti culturali e politici di cui il suo nuovo Teatro si nutriva.

Per questo sosteniamo che alcuni personaggi che continuano ancor oggi a godere abusivamente dei frutti di una faticosa semina dovuta innanzitutto al coraggioso e tenace lavoro di Franco Nebbia, ogni qualvolta si permettono di salire su di un palcoscenico e di affrontare il pubblico, armati di un arsenale linguistico, di regole e formule teatrali che non appartengono loro, dovrebbero almeno avere la dignità o il buon gusto di ricordarne pubblicamente la paternità.

Oggi che i fatti storici sono finalmente riportati da enciclopedie e da storie del teatro, che sono ripetuti in centinaia di autorevoli scritti reperibili anche sul web; oggi che il festival di Cabaret più importante d’Italia si chiama “Premio Nebbia”, la testimonianza fornita da questi ritagli stampa dovrebbe contribuire a rompere, definitivamente, il muro dello scetticismo e dell’ignoranza.

Con preghiera di pubblicazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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