The unpredictable and controlled chaos of Robert Proch

Robert Proch (born in 1986 in Bydgoszcz, Poland) is undoubtedly one the most promising talents of the emerging Polish contemporary art scene. With a degree from the Academy of Fine Arts in Poznan, city where he lives and works, he has already exhibited with solo shows in key art galleries such as Lazarides (London, 2014), Openspace (Paris, 2013 and in 2015 at the Bastille Design Center) and The Outsiders (Newcastle, 2012). Proch has also participated in group shows at the Puteaux City Hall gallery (Puteaux, France, 2014), Whitewalls (San Francisco, 2013), and Thinkspace (Los Angeles, 2012).
The art of Robert Proch is an experiment of the imagination. He creates impressive visions, contemporary landscapes, half-way between abstraction and figuration. The artist draws inspiration from daily life events and the urban environment that he reduces to their essential elements to create a geometric vision in which the human figure is suspended in a complex and fragmented world. Like in a deconstructed and metaphorical architecture, the final visual appearance of his images is characterized by an inspiring unpredictability and a controlled chaos. Inside these fictional landscapes he creates imaginary narratives: often isolated figures, or estranged from each other, in a precarious balance between what could or would never happen. Time is an important aspect in Proch’s work. Nevertheless, in spite of the great aesthetic dynamism, Proch’s figures seem paralyzed, suspended in an uncertain moment and space.

Robert Proch’s works: https://www.prochrobert.com/canvas

 

 

 

 

We would like to thank the Wurderkammen Gallery in Rome

Music and video edition: Antonello Nebbia

Videomaker: Antoine Reboul

 

 

 

 

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Franco Nebbia: rassegna stampa e cenni biografici

Franco Nebbia, il padre del Teatro Cabaret italiano

Franco Nebbia (Roma 1927 – Trieste 1984) da molti è ricordato come conduttore del programma radiofonico “Il gambero” (1969 -´75) o come giornalista o come autore del “Vademecum tango”, prima canzone che giocava sul latino per creare un effetto di stravagante comicità, che fu sigla del più importante programma del palinsesto RAI del 1961 e cioè del programma del sabato sera abbinato alla lotteria di capodanno “L´amico del Giaguaro” che ebbe come presentatori in quella edizione Gino Bramieri, Raffaele Pisu e Marisa Del Frate.
Ma la sua attività fu in realtà molto più significativa poiché, oltre ad essere stato per molti anni uno dei più importanti autori della RAI; oltre ad essere stato uno stimatissimo ed affermato critico cinematografico; oltre ad aver scritto musiche teatrali di rilievo (per esempio per il “Teatro dei Gobbi”) e canzoni per Rascel, Modugno, Milva, gemelle Kessler, Laura Betti, Bruno Martino, Miranda Martino e tanti altri, Franco Nebbia fu il padre del Teatro Cabaret italiano.

Infatti, quando nel settembre del 1964 aprì a Milano il “Nebbia club”, ancora la definizione di Teatro Cabaret in Italia non esisteva. Il “Nebbia club” nacque appunto (e così fu registrato negli atti burocratici) come primo Teatro Cabaret italiano. Negli anni successivi la critica riconobbe unanimemente al suo fondatore il ruolo vuoi di “pioniere” o di “capostipite” o caposcuola vuoi, ancor più schiettamente, quello, appunto, di padre e iniziatore di questa nuova forma teatrale, il Teatro Cabaret, e lo fece con migliaia di recensioni ed articoli a lui dedicati.

Con i suoi “atti unici satirici”, con le sue “commedie patafisiche” e più in generale con il suo modo di fare teatro, con lo stile surreale dei monologhi, con le invenzioni linguistiche, con la sottile satira politica etc. Nebbia fece scuola nel senso più stretto del termine, dando avvio ad una stagione nuova per il linguaggio teatrale che ancora si esprime con estremo vigore (non c´è ormai emittente televisiva che non dia spazio ad uno o più spettacoli di “Cabaret”).
Ma la quasi totalità di queste riproposizioni, seppure diverse tra loro e variamente articolate, adotta appunto in maniera piena e rigorosa il linguaggio, i tempi, le modalità recitative e di scrittura, gli stilemi, la vena satirica e grottesca, nei casi migliori anche il gusto del nonsense e dell´assurdo, così come vennero stabiliti e codificati ormai oltre 50 anni fa nel Teatro di Franco Nebbia.

Anche lo stile delle cosiddette “canzoni brevi” fu una sua invenzione assoluta, peraltro di grande successo, in seguito ripresa da altri.
Ma era nella natura di Nebbia la predisposizione ad anticipare i tempi: l´idea e il testo della sua “Borsa cha cha cha” furono ripresi da Lucio Dalla, la stessa idea del “Vademecum tango” fu ripresa diversi anni dopo, tra gli altri, da Lino Banfi e dalla Banda Osiris, così come alcune sue idee teatrali che ritroviamo poi riproposte nel cinema di Fellini (la sfilata dei costumi ecclesiastici) solo per fare qualche esempio.

Nell´immediato dopoguerra fu il co-fondatore, della mitica “Roman New Orleans jazz band”. Quando Louis Armstrong passava da Roma la jam session con la jazz band di Nebbia non poteva mancare. Anzi, fu proprio Armstrong a suggerire il nome della jazz band.

Il Teatro Cabaret italiano, nella formula appena descritta, che resta poi la sua “formula pura”, raccolse le importanti sfide della cultura contemporanea occidentale del dopoguerra, da Brecht a Grotowsky, da Miller agli “arrabbiati” inglesi, dalle “caves” esistenzialiste francesi a Boris Vian, da Artaud a Beckett a Jonesco, ma rispose a quelle sfide in modo del tutto originale, indicando al teatro moderno una via tutta italiana, ricco com´era della eredità di Petrolini, del teatro dei Gobbi e delle invenzioni di Achille Campanile, dei primi testi teatrali “impegnati” di Dario Fo; espressione e frutto com´era della collaborazione di molti degli intellettuali destinati a divenire in seguito firme importantissime, a cominciare da Umberto Eco che mise in scena la sue prime (e forse uniche) riduzioni teatrali (da “l´Altro Empireo” e “Frammenti”, tratti dal suo “Diario Minimo”) proprio al Nebbia club e fu anche autore dei testi di alcune canzoni satiriche scritte, appunto, insieme a Nebbia.

Molti testi scrisse in quegli anni Enrico Vaime (principale coautore del primo Cabaret italiano) così come scrissero per il “Nebbia club” anche Giorgio Gaber, Luciano Bianciardi, Bruno Munari, Maurizio Costanzo, Silvano Ambrogi, Giuseppe Ambrosino, Umberto Simonetta, Giacomo Battiato, Mario De Luigi, Roberto Mazzucco, Giorgio Bandini, Sandro Bajini, Roberto Danè e tanti altri ancora.

Pier Paolo Pasolini, Gian Maria Volonté, Carmelo Bene, Primo Levi, Gino Negri, Marcello Marchesi, Pino Caruso, Walter Valdi, Massimo Castri, Duilio Del Prete, Liù Bosisio, Rodolfo Traversa, Mirella Falco, Sandro Massimini, Lino Robi, Liliana Zoboli, Lino Toffolo, Maurizio Micheli, Nanni Svampa, Lino Patruno, Roberto Brivio, Maria Monti, Piera Degli Esposti, Gianfranco Funari, Mariangela Melato, Gigi Pistilli per citarne solo alcuni, e tanti, tantissimi altri attori, autori, intellettuali, collaborarono a vario titolo col “Nebbia club”, in più di un caso inaugurando proprio in quella occasione la propria carriera professionale. Al primo Nebbia club fu messa in scena anche “Cantando e ridendo che male ti fo” di Dario Fo per la regia di Arturo Corso.

Lo stesso celeberrimo “Derby club” era tutt´altro che un Teatro Cabaret negli anni precedenti alla “nouvelle vague” imposta dal successo del “Nebbia club”.
Prima di allora il “Derby” era ben lontano dal linguaggio del Teatro Cabaret così come fondato e codificato nei mesi e negli anni immediatamente successivi ad opera del “Nebbia club”.
Al Derby club in un primo tempo era possibile assistere alle intrigantissime interpretazioni delle “canzoni della mala” della Vanoni, a pregevoli esecuzioni di altre canzoni dialettali, ad azioni mimiche di buon livello nonché alla messa in scena di monologhi per lo più basati su di una comicità di battuta, spesso anch´essi dialettali. L´atmosfera poteva vagamente ricordare quella delle “caves” francesi, ma l´intenzione del Derby era ancora quella di un locale notturno o di un “night club”, come si diceva allora, per quanto già tra i più interessanti del panorama milanese.

Una prima svolta nella direzione della forma “Cabaret” avvenne con la comparsa al Derby di Franco Nebbia e di Enzo Jannacci, antesignani di coloro che, nei mesi e negli anni, andarono poi a comporre una lunghissima teoria di “cabarettisti”.

Mentre si esibiva ancora al Derby club, nel settembre del 1964, forte della collaborazione del Cenacolo che nel frattempo aveva raccolto intorno a sé, Nebbia pensò bene di aprire un proprio teatro, Il “Nebbia club”, il quale imboccò sin dall´inizio una strada completamente diversa rispetto al Derby, innanzitutto avvalendosi di una compagnia stabile di attori, poi recitando “in lingua” e infine orientandosi con decisione verso una scrittura dei testi che andava dal surreale al nonsense alla satira politica, una scrittura che fece scuola e che codificò man mano, come ripetiamo, le regole linguistiche, i codici, i tempi teatrali, la scelta degli argomenti, insomma le modalità di scrittura che divennero poi quelle universalmente riconosciute come proprie e caratteristiche del “Cabaret”, così come viene inteso ancor oggi. La maggior parte dei testi migliori inscenati per esempio in programmi tv come “Mai dire cabaret” o “Avanzi” e tantissimi altri (ad esempio i migliori testi dei fuoriclasse Corrado e Sabina Guzzanti) rispettano, oseremmo dire rigorosamente, quei codici, quelle modalità, quelle scelte di testo propri del “Cabaret formula pura” di Franco Nebbia, anche se, ormai, i meno colti tra gli autori non sempre ne sono del tutto consapevoli.

(Purtroppo  va ormai anche registrata una profonda degenerazione e banalizzazione di quello che fu il “Cabaret formula pura”. Oggi molti spettacoli di Cabaret televisivo, salvo alcune rarissime e pregevoli eccezioni, assomigliano più al vaudeville, oppure segnano una regressione ad una qualche forma di avanspettacolo, quando non si riducano addirittura ad una messa in scena più vicina alle modalità del circo equestre che non a quella del teatro).

Nel “Dizionario dello spettacolo del ´900” edito da Baldini & Castoldi si legge: (Il Derby nasce a Milano…) “grazie al ristoratore Bongiovanni e al jazzista Intra, cui si affianca subito Franco Nebbia, straordinario pianista-entertainer: un “classico” il suo tango con versi di corrive citazioni latine, da “alea iacta est” a “mutatis mutandis”. Con Intra e Nebbia, un primo manipolo di talenti: il musicista Gino Negri e le attrici Liliana Zoboli e Velia Mantegazza, la giovane “cantante della mala” Ornella Vanoni e Enzo Jannacci. Nel settembre 1964 si trasloca e si apre il Nebbia club, con una compagnia “stabile” composta da Duilio Del Prete, Liù Bosisio, Sandro Massimini e Lino Robi attore comico dalla statura ridotta. Ospiti del Nebbia club, che chiuse nel ´68 e che aveva privilegiato un taglio più politico ed esclusivo rispetto al Derby, furono Carmelo Bene, Maria Monti, Piera Degli Esposti, Giorgio Gaber, Mariangela Melato”.

E´ vero: il secondo Teatro Cabaret, quello in via Canonica 38, sempre a Milano, chiuse nel ´68 per la demolizione del vecchio stabile che lo ospitava. Tuttavia Franco Nebbia continuò a portare i suoi spettacoli in tournée per l´Italia sotto il titolo, appunto, di “Cabaret formula pura”, fino alla sua prematura scomparsa, avvenuta nel 1984.

Negli stessi anni (´69-´84) come già ricordato, Nebbia si dedicò alla produzione radiofonica giornalistica e di intrattenimento per la RAI, alla critica cinematografica per importanti testate quali “Sipario” ed “Europeo” ma anche per il più popolare “Intrepido” e numerose furono le sue collaborazioni per giornali e riviste di ogni tipo; fu spesso in televisione con ruoli diversi e ricoprì svariati ruoli anche come attore di cinema. Un suo disco, “L´agente dell´FBI” fu splendidamente arrangiato da Ennio Morricone.

Dal ’69 al ’75 raggiunse una certa popolarità grazie al radiofonico quiz alla rovescia “Il Gambero” alla cui conduzione venne chiamato dalla Rai in sostituzione di Enzo Tortora. Per Nebbia fu come abdicare all’impegno politico e culturale che lo aveva contraddistinto fino ad allora. Gli parve però anche il coronamento di quel sogno che lo aveva portato, quindici anni prima, a piazzarsi al quarto posto in un concorso per “annunciatori” della Rai. Essendo stata la vicenda del proprio Teatro Cabaret (appena conclusasi per via della demolizione del vecchio stabile che lo ospitava) terribilmente faticosa, si trovò di fronte ad una scelta drammatica: ricominciare da zero con la ricerca di un nuovo spazio teatrale, non più giovanissimo, con tutti i rischi, i costi, l’enorme fatica che “sfidare il mondo” di nuovo gli avrebbe comportato oppure raccogliere subito quel frutto del successo del suo lavoro,  quell’opportunità probabilmente irripetibile che la Rai gli stava offrendo e che gli avebbe permesso di accedere rapidamente ad una maggiore notorietà su scala nazionale. Occorre tener presente che, in quegli anni, non vi era altra tv né radio che non fosse quella fruibile dai (pochissimi) canali della Rai. In altri termini la domenica a pranzo vi erano quattro milioni di italiani sintonizzati sul “quiz alla rovescia”.

Nebbia decise così di scendere da cavallo, provato com’era dalle aspre battaglie che aveva fino ad allora sostenuto e che avevano già inciso nel suo cuore stanco il segno di una prematura scomparsa. Condusse quindi il “Gambero” per sei anni, innalzando subitaneamente il già elevatissimo indice di gradimento che era stato di Tortora.

La popolarità gli permise di triplicare il cachet per le proprie “serate” di spettacolo, grazie anche ad un agente teatrale di primo livello com’era Marangoni. Dopo anni di successo di pubblico e di critica e avendo ormai il pubblico italiano via via iniziato a comprendere e ad apprezzare la novità e la raffinatezza di quella forma di spettacolo, il Cabaret, che Nebbia aveva reinventato, sintetizzando l’eredità culturale europea ma arricchendola di importanti retaggi culturali, linguistici e teatrali squisitamente italiani; raccogliendo i frutti di una lunga semina anche nel campo della musica, del giornalismo e della critica cinematografica, Nebbia potè diventare, e rimase fino alla fine, uno dei più stimati autori e conduttori della Rai, soprattutto (ma non solo) in campo radiofonico.

Ma non fu solo questo il frutto del suo instancabile lavoro e della raggiunta notorietà. Negli ultimi quindici anni della sua carriera Franco Nebbia si divise tra la gestione artistica di interi pomeriggi di palinsesti radiofonici della Rai; serate teatrali in tutta Italia, ormai divenute di gala, in cui i sindaci di alcune città (come Torino e Bologna) intervenivano per consegnargli simbolicamente le “chiavi della città”; lunghi soggiorni a Cannes, Venezia, Taormina, in occasione dei Festival del Cinema;  apparizioni televisive in diversi sceneggiati con ruoli di rilievo, oppure “ospitate tv” (in Rai) in cui gli si offriva la possibilità di portare alcuni minuti del suo Cabaret anche in televisione; conduzione radiofonica e televisiva (anche, sporadicamente, di importanti programmi tv del sabato sera); oltre un migliaio di interviste da lui raccolte per la Rai e per la stampa, negli stessi studi della Rai o nelle più disparate locations, di personaggi soprattutto del mondo dello spettacolo e infine partecipazioni in una decina di film con ruoli, anche in questo caso, di un certo rilievo.

Insignito di numerosi premi, tra i quali non poteva mancare quello di Forte dei Marmi per la satira politica, di Franco Nebbia sono saltuariamente riproposte dalla RAI alcune apparizioni televisive e negli ultimi decenni è stato ricordato in qualche puntata di RAI educational. Sue opere radiofoniche sono state copiosamente replicate fino a oltre dieci anni dopo la sua scomparsa. In quella occasione fu affettuosamente ricordato da tutta la stampa italiana e da tutti i telegiornali. Il tg3 gli dedicò un servizio.

Per qualche anno, dopo la scomparsa di Franco Nebbia (30 ottobre 1984) il Teatro Cabaret sembrò destinato a scomparire con lui. Questa sensazione di oblio parve per un momento tanto definitiva che Enrico Vaime portò in teatro uno spettacolo intitolato “Addio Cabaret” (Roma, Teatro Flaiano, stagione 1985-86 diretta da Maurizio Scaparro). Certo, in quel momento, Vaime non poteva immaginare che quella nuova forma di teatro, che lui stesso aveva contribuito a fondare, sarebbe entrata di diritto nella storia del teatro, tra la tragedia e la commedia, accanto al teatro comico e alla commedia dell´arte.

Oggi il più importante festival di Cabaret italiano, quello che si tiene annualmente al teatro Manzoni di Milano, è dedicato alla memoria di mio padre con il titolo di “Premio Nebbia”.

Rassegna stampa

Siamo felici di poter finalmente pubblicare questi ritagli stampa. E’ un dovere che la mia famiglia assolve con decenni di ritardo. Si tratta solo di una frazione delle migliaia di articoli che tutta la stampa nazionale dedicò a mio padre nel corso della sua lunga carriera artistica, ma dovrebbe bastare per mettere una pietra tombale sulla lunga querelle riguardante la circostanza che Franco Nebbia fosse o meno ampiamente riconosciuto, sin dall’inizio, come il padre fondatore di quella nuova forma teatrale ancora oggi universalmente nota come Teatro Cabaret. A dire il vero mai nessuno si è apertamente permesso di dire il contrario (e non avrebbe potuto farlo) ma, forse proprio per la relativa mancanza di documenti storici, questa verità è stata spesso accolta con scetticismo oppure, semplicemente, ignorata.

Vi sono purtroppo anche stati alcuni personaggi che hanno approfittato di questa lacuna e stanno tuttora godendo abusivamente dei frutti del lavoro di mio padre, riuscendo ad accreditarsi (o forse sarebbe meglio dire millantandosi) come gli inventori delle “canzoni brevi”, oppure di un certo uso surreale del latino per comporre il testo di una canzone, o addirittura riuscendo a farsi acclamare come geniali inventori di intere stagioni di programmi televisivi basati sul Cabaret, cavalcando così l’enorme successo di questa innovativa forma di teatro che fu invece fondata, codificata e divulgata da Franco Nebbia con largo anticipo su tutti, primo tra i grandi maestri.

Insomma la strada fu aperta da un autentico, geniale (lui si) e coraggioso pioniere che presto riuscì a circondarsi di alcuni tra i più straordinari intellettuali dell’epoca. Fu Franco Nebbia a doversi inventare le strategie imprenditoriali necessarie ad assicurare la sopravvivenza di un’impresa economicamente rischiosa come quella di un teatro interamente autogestito (che, oltretutto, proponeva una formula teatrale mai vista prima in Italia) riuscendo a pagare regolarmente tutto il personale necessario e una compagnia stabile di attori. Fu lui a dover affrontare le più disparate (oggi impensabili) forme di censura e le autorità che cercavano ogni pretesto per far chiudere il locale.

Quando per primo (tanto per cambiare) mise in scena alcune opere di Umberto Eco, uno spettatore sporse denuncia in questura sostenendo che al Nebbia club si tenessero delle “messe nere”. Questo dà la misura di quale potesse essere il livello di comprensione del pubblico nei confronti del nascente Teatro Cabaret.

Fu Franco Nebbia a dover affrontare squadre di fascisti che piombavano nel locale con l’intenzione di sfasciare tutto. Fu sempre lui a diffondere il suo “Cabaret formula pura” portandolo in tournée per tutta la penisola e avvicinando così gradualmente il pubblico a questo linguaggio teatrale innovativo. Qualche volta riscuoteva un immediato successo e qualche volta raccontava, al suo ritorno, di essersi dovuto esibire davanti a un pubblico attonito, ancora incapace di cogliere le sfumature e le innovazioni linguistiche o i riferimenti culturali e politici di cui il suo nuovo Teatro si nutriva.

Per questo sosteniamo che alcuni personaggi che continuano ancor oggi a godere abusivamente dei frutti di una faticosa semina dovuta innanzitutto al coraggioso e tenace lavoro di Franco Nebbia, ogni qualvolta si permettono di salire su di un palcoscenico e di affrontare il pubblico, armati di un arsenale linguistico, di regole e formule teatrali che non appartengono loro, dovrebbero almeno avere la dignità o il buon gusto di ricordarne pubblicamente la paternità.

Oggi che i fatti storici sono finalmente riportati da enciclopedie e da storie del teatro, che sono ripetuti in centinaia di autorevoli scritti reperibili anche sul web; oggi che il festival di Cabaret più importante d’Italia si chiama “Premio Nebbia”, la testimonianza fornita da questi ritagli stampa dovrebbe contribuire a rompere, definitivamente, il muro dello scetticismo e dell’ignoranza.

Con preghiera di pubblicazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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_______________Thermonuclear Art

NASA ENTERS WORLD OF ULTRA-HIGH-DEF (4K) VIDEO

(That is, while Italy collapses into ignorance, the rest of the world goes on)

The solar system? Big. The galaxy? Bigger. What’s bigger than that? Before you smugly suggest “The universe?”, check this out: 4K Videos from NASA!

A little more than a decade ago, television transformed from the boxy, standard definition dimensions of 20th century engineers to the wider and sharper images of high definition TV. Well into the 21st century now, rapid growth in the next generation of video images promises to deliver spectacular pictures with profoundly greater fidelity and resolution than even the best HDTV. Officially known as Ultra-High Definition Television, it has rapidly come to be known as “4K”, a moniker derived from the approximate width of images measured in pixels horizontally across a screen.

NASA has a long legacy pushing the boundaries of advanced media technologies, befitting its unique role in presenting important, state-of-the-art science and engineering stories to the American public. On this web page you’ll find the first major release of 4K video content, presented in the public domain. The release of these media are concurrent with the launch of a new, non-commercial Ultra-High Definition channel in partnership with Harmonic.

Please note that the 4K videos will require fast internet connection and a powerful hardware. If you do have it, then in the lower right corner of the video select “2160p 4k”

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Mauro Maugliani: one of the most interesting italian contemporary artists

 

For the series “Inside the Artwork” High Definition Lab proudly presents:

MAURO MAUGLIANI

one of the most interesting italian contemporary artists.

GABRIEL’S MESSAGE BY MAURO MAUGLIANI

His artworks are Incredibly modern and beautiful.
As well as in many Italian exhibitions, Maugliani has exhibited in many other countries including China, France, Austria. Major curators of his exhibitions were, among others, Vittorio Sgarbi, Alessia Carlino, Edoardo Sassi, Italo Bergantini, Alessandro Trabucco, Alberto Agazzani, Gianluca Marziani, Giorgio de Finis, Andrea Iezzi. He currently lives in France.

Into the first video you can see his artworks: “Noli me tangere”, “Gabriel’s message”, “Enjoy my silence”, “Write on me”, “Dichotomy 2” and other works.
Into the second video his artworks: “The wall of fame” and “The sixth hour”.

Also chek: https://www.mauglianiart.com

 

Per la collana “Dentro l’opera d’arte” High Definition Lab presenta:

MAURO MAUGLIANI

uno degli artisti contemporanei italiani più interessanti del momento.

Incredibilmente belle e moderne le sue opere. Oltre che in tutta italia, Maugliani ha esposto in molti altri paesi, tra cui Cina, Francia, Austria. Di grande rilievo i curatori delle sue mostre tra i quali ricordiamo Vittorio Sgarbi, Alessia Carlino, Edoardo Sassi, Italo Bergantini, Alessandro Trabucco, Alberto Agazzani, Gianluca Marziani, Giorgio de Finis, Andrea Iezzi. Attualmente risiede in Francia.

Nel primo video, tra le altre opere, potrete vedere: “Noli me tangere”, “Gabriel’s message”, “Enjoy my silence”, “Write on me”, “Dichotomy 2”.
Nel secondo video le sue opere: “The wall of fame” e “The sixth hour”.

Maggiori informazioni: https://www.mauglianiart.com

Videomaker: Antoine Reboul.
Music and video edition: Antonello Nebbia.

Shooted with Sony PXW X200 Mpeg2 50i 50 Mbit/s.

 

 

 

 

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Les mondes de la photographe Malie Létrange

 

Rencontre: Les mondes de la photographe Malie Létrange

Malie Létrange est une photographe française née à Paris. Elle a exposé ses photos dans le monde entier en particulier à Pékin, Montréal, Paris, Rio, New York, Vancouver, Sydney, Alger, Monaco,  Persépolis, Israël. Malie Létrange est une infatigable Globe-trotter de la Paix.  « C’est un véritable témoignage de ce que peut être notre société depuis cinquante années ce auquel nous convie Malie Létrange, une photographe professionnelle qui parcourt le monde. Elle arrive à capter à travers ses objectifs l’essence même de notre humanité : des regards, des attitudes, des émotions  des hommes et des femmes (…) et à chaque photo il y a une histoire » (Franck Leton).

 

Incontro con “i mondi” della fotografa francese Malie Létrange

Malie Létrange è una fotografa francese nata a Parigi. Ha esposto le sue foto in tutto il mondo, in particolare a Pechino, Montreal, Parigi, Rio, New York, Vancouver, Sydney, Algeri, Monaco, Persepoli, Israele, Canada. Malie Létrange è un instancabile Globe-trotter della Pace. « E’ una testimonianza veritiera di ciò che la nostra società è stata in questi ultimi cinquant’anni quella a cui Malie Létrange ci invita. E’ una fotografa professionista che viaggia per il mondo. Riesce a catturare attraverso i suoi obiettivi l’essenza della nostra umanità: sguardi, atteggiamenti, emozioni di uomini e donne (…) e ogni foto è un racconto »  (Franck Leton).

 

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Un vidéo-portrait qui vous invite à voyager dans les mondes de la photographe Malie Létrange autour de son exposition dans les locaux de la communauté d’Emmaüs Liberté à Ivry sur Seine a Paris en Mai 2014… Un univers de photos remplies de poésie, d’amour et de spiritualité.

Un video-ritratto per invitarvi a viaggiare nel mondo della nota fotografa francese Malie Lètrange, girato in occasione della sua mostra tenutasi nella sede della comunità Emmaus liberté a Ivry sur Seine a Parigi, nel maggio del 2014… Un universo di foto piene di poesia, di amore e di spiritualità.

Videomakers: Antoine Reboul, Stéphane Reboul

 

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Arianna Bloise plays on Viola J.S. Bach Cello Suite n°1, Prelude.

 

High Definition Lab presents

the first video of the series:

“Inside the artwork”

From an idea by Antonello Nebbia

 

Videomaker: Antonello Nebbia

Assistants: Antoine Reboul, Antimo Prencipe, Dario De Vicariis.

We would like to thank the Santa Cecilia’s Music Conservatory (Rome, Italy).

Videocamera Sony PXW X200 ungraded, Mpeg2, 35 Mbps, 4:2:0, 50i

ARIANNA BLOISE performed in festival and concert hall as “IN MY LIFE – the viola in our life” Parco della Musica, Rome (IT); Atlante Sonoro XX, Rome (IT); George Enescu Festival Bucarest (RO); Theatre La Crièe, Marseille (FR), Le Manège (Mons-BE); Flagey (Bruxelles).
She worked in many orchestra and chamber music ensemble as the European Contemporary Orchestra, PMCE Parco della Musica Contemporanea Ensemble, World Youth Chamber Orchestra; the Orchestra of Teatro Rendano (CS); A.R.T.E.M Orchestra. In june 2012 she was selected on The Rome Chamber Music Festival in Rome, in wich there is a select number of highly promising students from the United States and Europe, here she plays under the guidance of L. Dutton, and R. McDuffie.

 

High Definition Lab presenta

il primo video della collana

“Dentro l’opera d’arte”

Da un’idea di Antonello Nebbia

 

Videomaker: Antonello Nebbia

Assistenti: Antoine Reboul, Antimo Prencipe, Dario De Vicariis.

Ringraziamo il Conservatorio di musica Santa Cecilia (Roma).

Videocamera Sony PXW X200,  senza correzioni, Mpeg2, 35 Mbps, 4:2:0, 50i

ARIANNA BLOISE si è esibita in festival e sale da concerto quali “IN MY LIFE – the viola in our life” Parco della Musica, Rome (IT); Atlante Sonoro XX, Rome (IT); George Enescu Festival Bucarest (RO); Theatre La Crièe, Marseille (FR), Le Manège (Mons-BE); Flagey (Bruxelles). Si è esibita in formazioni da camera e orchestrali tra cui il Parco della Musica Contemporanea Ensemble; l’Orchestra lirico sinfonica del Teatro Rendano di Cosenza; la World Youth Chamber Orchestra, Orchestra A.R.T.E.M; l’ECO- European Contemporary Orchestra. Ha collaborato con l’Istituzione Universitaria dei Concerti, per una serie di lezioni/concerto tenute nelle scuole. Nel 2012 ha partecipato al Rome Chamber Music Festival dopo esser stata selezionata tra musicisti di provenienza internazionale.

 

 

 

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Il nuovo volto di Roma: Il Maam e le altre realtà

Negli ultimi anni a Roma stiamo assistendo ad un rifiorire del panorama artistico e culturale che sta cambiando il volto della città. Artisti, curatori, esperti o solo appassionati e cittadini, senza aspettare iniziative da parte delle istituzioni, hanno cominciato a organizzarsi spontaneamente per creare nuove attrattive artistiche con lo scopo di riqualificare quartieri, più o meno periferici,  lontani dai classici percorsi turistici. Nei quartieri di Ostiense, Tor Marancia, San Basilio, il Quadraro, Tor Sapienza stanno nascendo musei a cielo aperto dove il grigiore monotono dei palazzi cede il posto a murales colorati per far respirare ai residenti un’aria di rinnovata creatività. La periferia romana quindi  cambia volto: non più quartieri dormitorio lontani dalle attività della città, ma centri di arte e cultura.

Il quartiere Ostiense è diventato una vera palestra per la Street Art romana, che attira artisti e curiosi, facendo crescere l’interesse per questa forma d’arte, di certo non nuova, ma che Roma sembra riscoprire solo adesso. A innescare questo “circolo virtuoso” è stato il murales realizzato dell’artista bolognese Blu sulla facciata di una ex caserma, ora occupata, in Via del Porto Fluviale. Ma la Street Art non si è fermata solo all’ Ostiense. A San Balisilio ogni anno si tiene il collettivo creativo “WALLS realizza SAMBA”, festival di Street Art. Museo a cielo aperto di arte urbana è M.U.Ro, Museo di Urban Art di Roma, nato nel 2010 da un’idea di David “Diavù” Vecchiato  che vede il coinvolgimento di writers nazionali e internazionali per donare una nuova luce al Quadraro, zona di Roma conosciuta ai più solo per  la terribile deportazione subita del 1944 da parte della Gestapo. Al centro di questo progetto seconda_10660551_10205925815565175_1368845499_n1non c’è la mera promozione dell’arte contemporanea, ma c’è il coinvolgimento dei cittadini del quartiere. Ogni intervento è infatti approvato dagli abitanti, è un progetto che nasce “dal basso” e non prevede interventi impostati in modo centralistico dalle amministrazioni. Inoltre troviamo nuovi murales nella zona di Tor Marancia. Il fenomeno si sta espandendo sempre più e troviamo graffiti ormai in ogni quartiere.

Non solo Street Art, invece, troviamo al MAAM, “Museo dell’Altro e dell’Altrove” del collettivo “Metropoliz-Città Meticcia”, nato nel 2012, che si pone in diretta concorrenza con le due grandi istituzioni dell’arte romana contemporanea, il MACRO ed il MAXXI, ma in un contesto tutt’altro che istituzionale. È infatti una realtà che esiste senza l’aiuto di fondi; è un museo abitato ed occupato, una “barricata” fatta di arte contemporanea, nel senso che l’esposizione ha anche una funzione di difesa per i precari abitanti dello stabile e quella di evitarne – o almeno ritardarne – la demolizione. Anche  qui, come accade in M.U.Ro, è prevista la collaborazione degli abitanti nella realizzazione delle opere d’arte.

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MAAM – Ingresso della ludoteca con particolare dell’opera di Alice Pasquini. Foto di Sara Pigozzo

Il MAAM trova la sua sede all’interno di un ex salumificio della Fiorucci, in via Prenestina 913, ed ha una storia molto particolare. Nel marzo 2009 i BPM – Blocchi Precari Metropolitani, organizzazione che rivendica il diritto all’abitazione per tutti – occupa la fabbrica dismessa con lo scopo di trovare una casa a circa 200 persone con tanti bambini a carico.  Nasce così il progetto di Metropoliz: la creazione, all’interno dello stabilimento, di una città meticcia dove convivono persone provenienti da ogni parte del mondo: peruviani, rom, rumeni, ucraini, marocchini, tunisini, volendo rappresentare un esempio di integrazione e di autogestione di una nuova esperienza di convivenza urbana. Per coadiuvare questo nuovo progetto è stata coinvolta anche Popìca Onlus, un’associazione culturale che si occupa del doposcuola per bambini ed adolescenti nelle stanze della ludoteca. Fino al 2012 gli abitanti di Metropoliz condividono le stesse esperienze di altre occupazioni romane, ma in quell’anno avviene qualcosa di nuovo: entra a far parte del progetto Giorgio de Finis, antropologo, regista, curatore e futuro direttore artistico del MAAM, che, con la collaborazione di Fabrizio Boni, filmaker e antropologo, propone un esperimento: Space Metropoliz.

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MAAM – “EMMAMcipazione” – La “Cappella Porcina”, particolare, di Pablo Mesa e Gonzalo Orquìn. Foto di Sara Pigozzo

Si inizia così con la creazione di un film documentario sulla vita degli abitanti per usare, tra l’altro, la cinematografia come strumento di aggregazione. Durante questo progetto i Metropoliziani, con l’aiuto di Francesca Careri, costruiscono un razzo per “andare sulla luna”, nella speranza che sul nuovo pianeta possano continuare a vivere in armonia, non più ai margini della società. Il film quindi segue la costruzione di questo razzo (che ancora oggi troneggia nel cortile), costruzione  avvenuta grazie alla collaborazione di tutti gli abitanti, riuscendo così anche a raccontare le loro storie. Questa è la prima opera d’arte realizzata nell’ex fabbrica. Da questo progetto nasce da parte di Giorgio de Finis la volontà di costruire in quegli spazi un vero e proprio museo seguendo una visione duchampiana in cui non c’è distinzione tra l’arte e la vita e che trasforma l’intera fabbrica in un oggetto d’arte, anzi in un “soggetto d’arte collettiva”. Percorrendo le stanze del MAAM ci troviamo davanti ad uno spazio molto diverso dagli ambienti bianchi, puliti ed ordinati di un museo istituzionale; qui lo spazio è fortemente connotato; infatti ancora è possibile vedere i macchinari utilizzati dal salumificio e le originarie, asettiche, piastrelle bianche. Le opere interagiscono fortemente tra di loro in un dialogo incessante. Alcuni artisti si sono quindi fatti ispirare da questi luoghi per le loro creazioni: nella “EMMAMcipazione” (la “Cappella Porcina” di Pablo Mesa e Gonzalo Orquìn) maiali dipinti, appesi e scuoiati, ci mostrano cosa doveva accadere veramente in quella stanza quando ancora vi si trovava la fabbrica di salumi, prima dell’occupazione.

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MAAM – “Costellazioni metropolitane”, particolare, di Mauro Maugliani. Foto di Sara Pigozzo

Ma un’opera così d’impatto è posta accanto alla soavità delle bellissime opere di Mauro Maugliani che con “Costellazioni metropolitane” realizza volti di giovani donne usando la penna a sfera su carta. I “guerrieri della luce” di Stefania Fabrizi ci ricordano invece che il MAAM è un museo occupato e quindi a rischio costante di sgombero. I suoi abitanti, come veri soldati, devono proteggere il loro diritto di viverci dentro. Il tema dello spazio ricorre in diverse opere: Massimo di Giovanni immagina che al ritorno dei Matropoliziani dal loro viaggio con il razzo, portino come souvenir la L.U.N.A., ricavata dalle travi di legno del tetto. E se dovessero provare nostalgia per la loro avventura? Gian Maria Tosatti ha realizzato per loro il “telescopio quasi funzionante”. Il MAAM è un museo in MaaMcontinua evoluzione: partito con le opere di Street Artists come Lukamaleonte, di Sten e Lex, ha ora un catalogo di 400 opere ed è riuscito a coinvolgere anche un artista internazionale come Pistoletto, che per festeggiare la primavera ha prestato la sua Venere degli Stracci, presente almeno fino a metà aprile 2015 (tutti gli abitanti sono invitati a portare vestiti usati per decorarla). L’ interazione tra arte e vita deve continuare.

di Elisa D’Agostino

 

Ecco un bel filmato della World Wide Culture dedicato al Maam “Museo dell’altro e dell’altrove”. Contrariamente a quanto non si pensi, iniziative come queste si stanno moltiplicando in tutta Italia. Intanto però possiamo offrirvi questa visita virtuale al Maam. Grazie a Michele Cristofoletti e alla World Wide Culture per la gentile concessione. Buona visione!

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La street art diventa arte pubblica

Da qualche anno a Roma si sta diffondendo quel relativamente nuovo tipo di arte conosciuto come   street art, l’arte “di strada”, che si manifesta in luoghi pubblici e prevede l’ utilizzo dei mezzi più disparati: bombolette spray, arte normografica, videomapping,IMG_3297 sculture, adesivi artistici, ecc. Il primo quartiere a veder sorgere opere di questo genere è stato l’Ostiense, luogo che da sempre è stato cuore culturale, artistico e creativo della capitale. In circa 5 anni (tutto ebbe inizio nel 2010) artisti locali, nazionali e internazionali hanno dato vita a circa 30 opere di grandi dimensioni, racchiuse in un quadrante che va dalla Piramide a San Paolo. Un po’ alla volta queste opere son divenute fonte di visite guidate e di turismo: artisti come Blu, Guy Denning, Behr, Roa e tanti altri hanno fatto conoscere in tutto il mondo questo quartiere, ormai noto all’estero come Ostiense District. Da un’idea dell’agenzia pubblicitaria Pescerosso e della galleria d’arte contemporanea 999, l’ Ostiense District è diventato un progetto di valorizzazione e promozione del quartiere come luogo della contemporaneità, soprattutto da un punto di vista artistico e culturale. E’ stata creata addirittura una mappa delle opere artistiche pubbliche create e di quelle di prossima creazione.

E’ con l’Ostiense District che nasce una diramazione della street art: si chiama arte pubblica, e l’opera è il risultato di una collaborazione tra autore, territorio e residenti.

Un bellissimo progetto è stato realizzato (e sta continuando a realizzarsi) nel quartiere periferico di San Basilio. E’ il Progetto SanBa, a cura dall’associazione Walls, in collaborazione con Fondazione Roma Arte e Musei, Zètema Progetto Cultura, Roma Capitale, Ater Roma e Centro Culturale “Aldo Fabrizi”. L’obiettivo è quello di riqualificare l’area urbana grazie alla bellezza e al colore delle opere, meravigliosi esempi di arte pubblica. Infatti, gli artisti Liquen e Agostino Iacurci hanno realizzato due murales, ciascuno su quattro facciate.  Il tutto è stato creato e organizzato in sinergia con gli abitanti del quartiere.Il tema principale è lo stesso per entrambi gli artisti: “Solo con la rinascita della natura ci può essere una rinascita dell’uomo”.

Ma c’è stato dell’altro: si sono tenuti laboratori di “muralismo espanso” alla scuola elementare Gandhi; di tipografia e posteristica alla scuola media Fellini; di design urbano e sceneggiatura per un docu-film al liceo Von Neumann. Il docu-film sul progetto, scritto da tre studenti, verrà realizzato dalla casa di produzione Kinesis. Insomma, da Ostiense a San Basilio, si sta assistendo ad un’evoluzione dell’arte “di strada”, capace di creare turismo, ma anche di tener uniti gli abitanti di un quartiere complicato. Uniti da un valore antico ma dagli influssi benefici e condivisi come quello dell’arte, sia pur nelle sue forme più nuove (oppure, chissà? Forse più antiche). E allora che la bellezza, la vitalità del colore e il potere unificante dell’arte è della creatività continuino il loro “lavoro”, nei quartieri di Roma e, magari, in quelli di un numero sempre maggiore di città italiane.

di Antimo Prencipe

Foto di Dario de Vicariis

                  

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Introduzione al sito

Pasolini Eros Renzetti

Il 28 agosto 1975 Pasolini su ‘Il Mondo’ scriveva: “Dobbiamo processare i gerarchi Dc” – chiedendo inutilmente al partito socialista e al partito comunista italiani di accogliere quell’istanza. In quella Lettera luterana (una delle ultime, prima di essere massacrato in circostanze ancora oggi non chiare) Pasolini scriveva:

(dobbiamo processarli per) “Indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione del denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, connivenza con la mafia, alto tradimento in favore di una nazione straniera, collaborazione con la Cia, uso illegale di enti come il Sid (i servizi segreti dell’epoca, ndr), responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna (almeno in quanto colpevole incapacità di punire gli esecutori), distruzione paesaggistica e urbanistica dell’Italia… Responsabilità della degradazione antropologica degli italiani… Responsabilità della stupidità delittuosa della televisione. Senza un simile processo penale, è inutile sperare che ci sia qualcosa da fare per il nostro Paese”.

E’ cambiato qualcosa da allora? Chi si tiene informato sa che non è cambiato nulla. Sa che quelle righe, scritte 40 anni fa, potrebbero essere state scritte ieri.

Quel processo penale auspicato da Pasolini non fu mai celebrato. Forse, da allora, l’indegnità e il disprezzo per i cittadini si sono aggravati al di là di ogni possibile immaginazione: troppo spesso poteri forti, mafia e politica sembrano aggrovigliarsi in un tutt’uno quasi inestricabile.

A quelle stragi ne seguirono altre, cambiando radicalmente i destini del nostro Paese.

Il discorso sull’alto tradimento in favore di interessi stranieri o sovranazionali ci porterebbe troppo lontano ma, tra “Troika”, logge massoniche deviate, “Illuminati”, gruppo Bilderberg, Goldman Sachs, cartello petrolifero, Big Pharma… Insomma: a causa dei vari potentati economici multinazionali, comunque essi si presentino o si organizzino, l’alto tradimento si è ormai avviato a divenire quasi la regola: oggi addirittura sono questi soggetti sovranazionali a decidere i destini del mondo, sovrapponendosi o talvolta determinando direttamente quelli che dovrebbero essere i legittimi governi nazionali.

Per quanto riguarda la distruzione paesaggistica ed urbanistica dell’Italia, essa è sotto gli occhi di tutti, nonostante la tutela dei beni paesaggistici e culturali sia prescritta dalla nostra Costituzione.

Inoltre Pasolini fu forse il primo grande intellettuale ad accorgersi con così grande lucidità  della degradazione antropologica degli italiani e della stupidità delittuosa della televisione (anch’esse frutto, oltre che di un contesto storico, forse di un piano preciso, di una strategia, potremmo aggiungere oggi, con il senno di poi). Ed insisteva sul fatto che tutti questi singoli aspetti della nostra società, che denunciava, andassero in realtà guardati unitariamente, come tante facce di una stessa medaglia.

Personalmente ho sempre trovato perfino ovvia questa impostazione: tutto si tiene. Tutti questi avvenimenti, apparentemente scollegati tra loro, si sono invece alimentati a vicenda, concorrendo a determinare la situazione in cui ci troviamo oggi.

A noi, qui, interessa sottolineare quegli aspetti legati al degrado culturale dell’intera nazione,  perseguito come parte di un disegno complessivo che, peraltro, oggi possiamo dirlo, non riguardava solo l’Italia.

Ma, appunto, non ce ne sfugge la portata antropologica. Anzi, oggi possiamo purtroppo fare un passo in più e parlare addirittura di un regresso evoluzionistico, tanto formidabile è stata in questi ultimi quarant’anni la spinta verso la direzione scelta: quella dell’abbrutimento, del quasi ineluttabile (perché sistematico) disegno di distruzione delle capacità intellettuali, creative, perfino cognitive ed emotive della mente e della personalità.

“Ciao Darwin” potremmo dire ricordando il titolo di un recente, noto programma televisivo Mediaset (che, comunque, non aveva quel titolo a caso).

Infatti a che cosa mai servirebbe studiare, coltivare l’intelletto, il senso del bello, la più raffinata educazione, il merito, perfino la correttezza e l’onestà o semplicemente la lealtà nei rapporti umani e di lavoro, quando si è invece preferito imboccare con estrema determinazione un’altra strada, quella che vorrebbe mostrare a tutti che le carriere si fanno a letto, il lavoro si ottiene con le bustarelle, le raccomandazioni, il nepotismo? Quando stimoli formidabili ti insegnano, sin da piccolo, ad abbassare la testa, a rassegnarti alla disonestà, a credere che i diritti di cui (se sei stato fortunato) ti hanno parlato a scuola, siano solo una bella favola da raccontare agli ingenui? Che se vorrai far valere il tuo corso di studi o semplicemente il tuo talento – se non appartieni al “giro giusto” – ti dovrai rifugiare all’estero? Quando ti guardi intorno e vedi tanti tuoi amici plurilaureati restare disoccupati o magari occupati precariamente presso un “call center”?

L’imbecillità, la volgarità, l’ignoranza, la disonestà vengono troppo spesso premiati. Accendi la televisione e vedi che gli “autorevoli” commentatori invitati dappertutto, ogni sera, sono sempre gli stessi, e i peggiori tra loro non mancano quasi mai. Vedi gente indegna trattata con tutti gli onori, pagata profumatamente, spesso resa insulsamente celebre dal mezzo televisivo. Ti guardi intorno e ti accorgi che dovresti inchinarti a gentaglia in mercedes, vedi mascalzoni reclamare a gran voce la propria legittimità e mentire spudoratamente, mentre, ovviamente, pretenderebbero pure di essere riveriti. Talvolta più sono cialtroni, disonesti e volgari e più arrivano in alto nella scala sociale.

Ciao Darwin. O meglio addio. La selezione della specie all’incontrario.

E intanto intorno tutto crolla: Pompei, Cinecittà, la scuola, le biblioteche, il teatro… Ma anche i diritti costituzionali e lo stesso diritto alla dignità dell’uomo.

Dicevamo: sono tutte facce di una stessa medaglia. Questa è un’ osservazione da tenere costantemente presente. Leggi vergognose, malaffare, informazione da Repubblica delle Banane: tutto concorre a riportarci indietro, a volte addirittura verso il medioevo, alla faccia delle conquiste civili e sociali ottenute spesso col sangue dai nostri padri in secoli di faticosissimo progresso. Per non parlare dell’esodo biblico a cui stiamo assistendo o degli sgozzamenti di innocenti che sono prepotentemente tornati di attualità, chissà da chi orchestrati e manovrati, per difendere chissà quali interessi geo-politici ed economici…

Comunque non è un caso che quei sinistri figuri si accaniscano anche contro l’Arte e la Cultura.

In questo desolante quadro generale, chi mai oserebbe più difendere semplici, basilari diritti come quello alla creatività, sia essa artistica o nei rapporti interpersonali? Chi si sognerebbe di pretendere il rispetto di elementari diritti come quelli legati agli aspetti ludici della vita, all’immaginazione e alla fantasia, il rispetto per la sacralità della creazione artistica, o, perfino, di quell’altrettanto sacra sfera che coinvolge la propria intimità ed emotività? In una parola il rispetto di tutto ciò che, di più fragile e delicato, costituisce la base stessa della nostra più significativa, profonda, intima (e luminosa) umanità?

Tra spread, disoccupazione e crisi economica, derive autoritarie, sgozzamenti e atti terroristici, chi osa più protestare, ad esempio, perché i film trasmessi in tv vengono interrotti dalla pubblicità, infrangendo così la sacralità di un intimo flusso di pensieri, di emozioni, nonché l’integrità stessa dell’opera d’arte (indispensabile per la sua piena comprensione e per il suo pieno godimento)?

Nessuno se lo ricorda più ma all’inizio molti intellettuali si ribellarono con indignazione, i maggiori cineasti per primi. Organizzarono convegni di protesta, promossero addirittura un referendum contro le interruzioni pubblicitarie il cui slogan era: “Non si interrompe un’emozione”. Fellini la definiva: “Un’ azione infame, criminale. L’ opera d’ arte è una creatura vivente”. In seguito dichiarò: “Non ci sono le condizioni per trattare, noi non possiamo trattare con questi banditi…”.

Il diritto alla fantasia, alla creatività, alla delicata integrità emotiva, alla propria intimità inviolabile; una cittadinanza autenticamente libera, istruita e consapevole; cose che poi sono, secondo noi, il corrispettivo della sacralità dell’Arte e della Cultura, sono acerrime nemiche del sistema, del consumismo, del pensiero unico dominante che ci vorrebbero tutti uniformati e irreggimentati: un esercito di produttori / consumatori. Non certo di donne e di uomini liberi.

Ecco perché Fellini stesso fece, da quel momento, fatica a lavorare. A molti dei maggiori intellettuali ed artisti dell’epoca non fu quasi mai più offerta l’occasione di lavorare, di godere degli spazi che meritavano.

Ai giovani ricordo che stiamo parlando di giganti della cultura, di gente che portò, per esempio, il cinema italiano ad essere, per qualità e per prestigio, il primo nel mondo. Tanto perché si possano fare un’idea dell’estrema gravità di ciò che successe.

Oltre a Fellini vorrei ricordare, tra gli altri, con reverenza, Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, Michelangelo Antonioni, Luchino Visconti, Pietro Germi, Mario Monicelli.

Si chiuse la loro stagione e cominciò quella del cinema dei “Pierino” (il cosiddetto “pecoreccio all’italiana”) e di “Paperissima sprint”. Davvero una mutazione antropologica.

Carlo Lizzani, qualche anno prima di togliersi la vita, mi confidò che alcuni produttori cinematografici a cui aveva proposto dei suoi progetti, ultimamente gli rispondevano: “Il soggetto è interessante, ma per realizzare questo film a che serve un regista?”. Come se la Scala di Milano dicesse alle orchestre, d’ora in poi, di dirigersi da sole perché, voilà, il direttore d’orchestra non serve più.

Questo l’abisso di ignoranza in cui siamo sprofondati e che Pasolini già 40 anni fa denunciava con grandissima lucidità.

Mio padre stesso, che con Pasolini aveva collaborato (e con tanti altri personaggi ormai entrati nel mito, come ad esempio Enrico Vaime, Umberto Eco, Primo Levi, Luciano Bianciardi, Carmelo Bene, per citarne solo alcuni) e che fu il fondatore del Teatro Cabaret italiano, seppur ampiamente riconosciuto in vita e celebrato da tutta la stampa nazionale, fu presto dimenticato dopo la sua scomparsa (1984) proprio per via della barbarie in cui stavamo precipitando.

Eppure fu solo grazie all’opera di Franco Nebbia che oggi l’Italia è affollata di festival di Cabaret (il più importante dei quali, quello di Milano, fortunatamente intitolato al suo nome e alla sua memoria). E’ solo grazie a lui che oggi, nelle scuole di teatro, accanto ai corsi di drammaturgia, di recitazione, di dizione, di mimo e, magari, di Commedia dell’Arte, si affianca spesso un corso di Teatro Cabaret. E’ solo grazie a lui che oggi non vi è emittente televisiva che non proponga uno o più spettacoli ispirati al Cabaret.

Ma, tranne rarissime eccezioni, hanno ormai ridotto il nobilissimo Teatro Cabaret delle origini ad avanspettacolo, a Vaudeville, se non addirittura, nei casi peggiori, a Circo Equestre. Popolato, giustamente, da clown e da buffoni. Come se il Cabaret letterario di mio padre, scevro da ogni volgarità, ispirato alla satira politica graffiante, alla sottile ironia, alle colte invenzioni linguistiche e al raffinato non-sense, non fosse mai esistito. E con esso anche tutte le straordinarie innovazioni culturali del ‘900 di cui il Teatro Cabaret di Franco Nebbia aveva raccolto l’eredità e la sfida.

Ecco un motivo in più per dare il nostro contributo affinché l’Arte e la Cultura (nonché l’istruzione, la creatività, la ricerca) ritrovino la  centralità che sarebbe loro dovuta.

Non ci basta che il David di Michelangelo venga “riesumato” e, artificiosamente, posto al centro del padiglione Italia dell’Expo o che la grande azienda di moda Fendi sponsorizzi il restauro della Fontana di Trevi. Piccolissimi passi di fronte all’enorme potenziale, anche economico, del nostro inestimabile patrimonio artistico e culturale.

A parte il nostro speranzoso tentativo di valorizzare queste inestimabili risorse economiche (incomprese ed umiliate dall’ignoranza e dalle scellerate scelte politiche di chi ci governa), per noi contribuire a riscoprire e a promuovere tutto il formidabile potenziale della nostra creatività, la ricchezza del nostro ingegno, del nostro linguaggio (di ogni linguaggio artistico) il nostro diritto primario all’incanto, all’emozione, all’insegnamento, alla magia e alla sacralità dell’Arte e della Cultura (come premessa alla sacralità della dignità dell’uomo e della vita stessa) nel contesto attuale, è di per se un gesto rivoluzionario. Oppure, semplicemente, un atto dovuto di civiltà.

Antonello Nebbia

 

Aggiornamento:

innanzitutto vorremmo ringraziarvi: nei primi mesi di nostra presenza effettiva sul web abbiamo avuto un piccolo boom di visite, raggiungendo, a fine aprile, oltre 2.100 visite in un solo giorno, da 176 paesi del mondo, in occasione del nostro ultimo aggiornamento. Nella classifica di Net Parade, appena iscritti, ci siamo piazzati al 37° posto su circa 3.000 siti italiani censiti nella sezione cultura e abbiamo raggiunto anche il 20° posto. Ci sembra una buona partenza.

(A proposito: potete votarci o condividere i nostri articoli cliccando sui link in fondo alla pagina).

Tuttavia alcuni utenti ci hanno contattato dicendoci che non è chiaro di che cosa ci occupiamo. Cerchiamo allora di spiegarlo meglio.

La High Definition Lab è innanzitutto una produzione multimediale. Cosa vuol dire produzione multimediale? Vuol dire che produciamo diversi tipi di contenuti, attraverso diversi media: video, audio, foto o anche “semplici” contenuti testuali.

Letteralmente “High Definition Lab” significa “laboratorio dell’alta definizione”. Siamo quindi un laboratorio, cioè un luogo dove si fa ricerca, si sperimenta (quindi con uno spiccato carattere di continuo “work in progress”). Cosa ricerchiamo? L’alta definizione, intesa non solo in senso stretto, cioè come alta definizione video (che comunque ci interessa molto) ma anche in senso lato, cioè come ricerca della maggior qualità e “definizione” possibile di tutti i contenuti che intendiamo proporvi.

Come abbiamo cercato di spiegare sin dal primo testo che incontrate entrando nel sito, la nostra “mission” (scopo, obiettivo) è quella di promuovere l’Arte e la Cultura. Il meglio dell’Arte e della Cultura.

Essendo un laboratorio di produzione multimediale, lo faremo sia proponendovi il frutto della nostra ricerca produttiva (cioè tutti quei contenuti prodotti direttamente da noi) sia una selezione di quelli che riteniamo essere alcuni tra i migliori contenuti artistici e culturali attualmente reperibili sul web.

Inoltre useremo il nostro spazio per presentarvi dei selezionati artisti emergenti, ancora parzialmente o del tutto sconosciuti al grande pubblico.

Speriamo in questo modo di essere riusciti a spiegare meglio che cos’è e di cosa si occupa la High Definition Lab.

Di nuovo un ringraziamento e un caloroso benvenuto a tutti nel nostro sito. Buona navigazione!

 

(La foto di apertura è di Antoine Reboul e ritrae un’opera in cui il pittore Eros Renzetti riproduce un fotogramma del “Decameron” di Pasolini)

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